Pane noci e mele

Nel mio febbraio pieno di presentazioni&papers&cose-à-remettre, una delle gioie è il lievito madre che lievita alla grande. Tempo di grandi sperimentazioni, dunque, perché veder crescere quei mucchietti di acquane farina fa sempre un gran piacere, tra il provare nuovi intrugli e nuove farine, nuove pieghe e nuovi ingredienti, nuovi tempi di lievitazione e nuovi modi di strattonare la pasta.

Questo, tuttavia, non è un blog di panificazioni, ma di colazioni al Nord. Confesso di sentirmi un po’ ospite, in questo blog. Malleveria me ne ha aperto le porte, senza limitazioni, ma faccio ancora fatica a viverlo come anche mio. Mi faccio continue domande sulla legittimità delle mie ricette e sulla loro attinenza al tema. Per dire, sono molto più a mio agio a casa di Malleveria che non su questo blog. Questo non per sottolineare il disagio, ma per giustificare le mie ricorrenti giustificazioni a proposito delle colazioni proposte.

Non è un blog di panificazioni, dicevo, ma di colazioni. E quindi perché propongo un pane? Perché al mercato Jean Talon, che è forse la cosa più bella tra quelle più vicine a casa mia, vendono del pane alle mele e noci. Quindi, siccome non sono mica figlio della serva (al massimo nipote), pure io mi faccio le mie belle fettine di pane alle mele a casa.

(Visto che sto in Canada e non so quasi nulla della sua storia, parte la rubrica “Note biografiche di personaggi Canadesi” [Dal pubblico risuona un “Ma non te sentivi a disagio? Mo te permetti pure de apri’ rubriche a muzzo?”. Il confort è uno stato mentale, va conquistato]. Oggi ovviamente tocca a Jean Talon, primo intendente della Nouvelle France [quella parte di Nord America che si accaparrarono i Francesi, prima di perderla miseramente] intendente, dicevo,arrivato nel Nuovo Mondo nel 1665 con l’obiettivo di dare una bella spintarella a questa colonia. Come fare? Importando sbuscione, come direbbe M., e lanciando la corsa al popolamento. A ciò aggiunse anche la prima fabbrica di birra del luogo. Per dire, alcool&gnocche, secondo inaspettati stereotipi.)

E, finalmente, pane mele e noci. Da notare che non ho la bilancia, quindi è tutto molto a occhio. Ho sempre odiato quando mi dicono fai a occhio, ma sono tirchio e non la compro la bilancia, quindi userò delle unità di misura random ma, spero, comprensibili.

Ingredienti

80-130 di lievito madre
2 cup di farina bianca
1 cup di farina integrale
1/2 cup di semolino
1 cucchiaio colmo di cacao
2 cup d’acqua tiepida
1 cucchiaino raso di zucchero
2 cucchiai di olio evo
1 pugno di fiocchi d’avena
1 manciata di mele essiccate (circo 70 gr, le mie erano una 15ina di pezzi)
1 pugno di noci di pecan
2 pugni di noci normali

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Quando sperimento finisco sempre per mescolare mille sperimentazioni diverse, andando contro tutti i criteri scientifici. Il risultato questa volta era buono, non fosse stato un po’ bruciacchiato sotto, quindi direi che vi potete fidare. Sono ancora nella fase in cui non guardo al valore delle mie azioni, quella fase insomma in cui usare 3 kg di burro non mi suscita problemi sulle conseguenza cardiovascolari. Cucnino nell’ingoranza dei valori nutritivi. Ma sto sperimentando, come Marie Curie.

Partiamo dai tempi del rinfresco del lievito madre. Ho iniziato in tarda mattianta, ho lasciato fuori il lievito rinfrescato per 3 ore, dopo di che ho conservato una parte per il prossimo pane e il resto l’ho usato subito. Preferisco, senza un particolare motivo culinario, unire il lievito madre al resto dell’impasto del pane solo quando questo inizia già ad avere una sua fisionomia. Mi piace vedere come le due parti si fondono, piuttosto che imporre acqua e farina al caro lievito.

Subito dopo aver pranzato, ho unito le farine:

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Mescolando sperimentazioni, non so quale sia alla fin fine l’effetto del semolino nell’impasto, ma questo dosaggio mi dà un buon pane quindi sto continuando a usarlo per i pani scuri. Parlo di pani scuri perché un’altra sperimentazione è l’aggiunta del cacao. Dà al pane un bel colore scuro e un lievissimo retrogusto piacevole che spesso sfora nell’impercettibile. Ho iniziato a aggiungerlo per soddisfare un’impulsiva voglia di cioccolato e, quindi, si tratta più che altro di una sorta di autoconvinzione di star mangiando cioccolata, cosa che invece non è. Mi rendo conto ora di sembrare psicopatico che fa cose a caso; e, ve lo anticipo, manco per i cucchiai d’olio ho una spiegazione né una motivazione, il risultato è buono e non tossico, tanto mi basta, per ora.

Insomma, ho mescolato le farine e aggiunto il cacao:

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Prima di questo, ho dimenticato di dire che le mele e le noci vanno tagliate un po’, nel caso lo preferiste, e poi messe a bagno. In uno slancio di risparmio d’acqua, ho messo tutto a bagno nell’acqua tiepida zuccherata col cucchiaino raso. Dopo una decina di minuti, ho versato il tutto nelle farine e aggiunto i due cucchiai d’olio:

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A questo punto ho impastato un po’, aggiunto il lievito e continuato a lavorare il tutto per una ventina di minuti. Il colore del cacao, contro quello del mio lievito madre di farina bianca, permette di capire quando i due impasti non sono perfettamente fusi. In ogni caso a me, alla fin fine, sono bastate un paio di panificazioni per capire quando l’impasto sta facendo quello che deve, quando gli amidi e i glutini fanno il lavoro per il quale ho continauto a sprimacciarli.

E insomma, taglio a croce, strofinaccio umido e almeno un paio d’ore di attesa, diciamo fino al raddoppio dell’impasto.

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A questo punto – erano ormai le 16 – ho fatto le pieghe a portafoglio, cosa che ho scoperto di recente (‘ste cose me le dice Malleveria, che si informa) e, in effetti, il pane viene più buono. Io faccio così: prendo l’impasto e lo allargo con le mani nell’aria. Si riesce a percepire l’elasticità dell’impasto e i punti da stiracchiare di più. E poi fa tanto pizzaiolo acrobatico al corso base di pizzaioleria acrobatica. Quindi pieghe e poi altre 2 ore di lievitazione.

In mezzo a questa fase di attesa inizia sempre a venirmi la fretta, quindi non arrivo mai a 2 ore di lievitazione ma dopo 1 e mezza massimo sono già lì che riallargo grossolanamente il mio impasto per il alto lungo (sempre con le mani, sempre in aria) e poi lo arrotolo su se stesso per far venire un bel filone.

Volendo sperimentare l’esterno ricoperto di fiocchi d’avena, ho fatto rotolare l’impasto nei fiocchi con la parte superiore rivolta verso il basso. Insomma, non ho messo fiocchi su quella che sarebbe stata poi la base del pane a contatto con la teglia.

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Qualche taglio decorativo e un’altra ora di lievitazione. Poi, era ormai quasi ora di cena, ho infornato a 200° (forse, qua i gradi sono Fahrenheit e il forno continua ad avere una temperatura che credo sia una sua scelta individuale di ribellione sociale). Mi raccomando l’umidità nel forno, io metto una teglia in basso con l’acqua.

Dopo un tempo random che cambia di volta in volta (che poi dicono che se bussi sulla crosta e suona come fosse vuoto allora è pronto), insomma mettiamo un 45 minuti:

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Quando poi, la mattina dopo, gustate un paio di fette, le prime senza aggiunte, le successive anche spalmate di cremosità, scoprite insieme a me che manca il sale. Sì, dimenticato, come sempre. Dai che fa più sano.

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E buongiorno!

Una fette di mele

Trasformare la non voglia di fare colazione in un processo creativo è stato un attimo. In sottofondo una compilation di Rino, Battiato, De Gregori, Dalla. Il risultato è stata una splendida sorpresa.

Ingredienti
1 mela piccola
1 cucchiaio di zucchero bianco
vaniglia

3 cucchiai di amaranto
1 cucchiaino di melassa
pezzo di stecca di cannella

30 grammi di burro
1 cucchiaio puntuto di farina
2 cucchiai di zucchero di canna
cannella in polvere

un cucchiaio di semi di chia

NB: la quantità di zucchero può essere dipesa dagli interventi inattesi di Battisti nella compilation.

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Introdotto in acqua, l’amaranto si diverte a formare strutture a imitazione molecolare

Anzitutto la mela va lavata e tagliata. Mettere un pentolino a fuoco dolce con un goccio d’acqua, lo zucchero bianco e una spolverata di vaniglia. Mentre questo si cuoce, in un altro pentolino d’acqua bisogna far cuocere l’amaranto, avendolo prima sciacquato in acqua calda/bollente per togliere il retrogusto amaro. Quando l’amaranto bolle va aggiunta la melassa e la stecca di cannella.

Entrambi i composti ci metteranno circa 15 minuti ad essere pronti: intanto va fatto il crumble: basta mescolare con un cucchiaio il burro con lo zucchero e la cannella e aggiungere a poco a poco la farina.

Quando mele e amaranto sono cotti uniteli – togliete la stecca di cannella – e aggiungete il cucchiaio di chia. Togliete dal fuoco.

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Non avevo una teglietta, l’ho dovuta costruire

Il dolce è pronto per essere assemblato: su una teglietta posizionate uno strato di crumble, la massa di mele e infine coprite col crumble. Mettete in forno a 200 per 15 minuti.

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E buongiorno!